De revolutionibus
sulla miseria del genere umano
CARULLO MINASI
13 GIUGNO 2015 ore 18.30
14 GIUGNO 2015 ore 18.30
REAL COLLEGIO - SALA 2
LUCCA
Carullo-Minasi da
Il Copernico e
Galantuomo e Mondo di Giacomo Leopardi
diretto
e interpretato da Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi
disegno luci Roberto Bonaventura
scene e costumi Cinzia Muscolino
scenotecnica Piero Botto
assistenza alla regia Veronica Zito
ringraziamenti Giovanna La Maestra, Angelo Tripodo,
Simone Carullo
produzione Carullo-Minasi, I Teatri del Sacro
Il Copernico -operetta infelice e per
questo morale
Con la sua “Operetta”, nelle insolite vesti di
Drammaturgo-Demiurgo, Leopardi ricostruisce
l’Ordine dell’Universo, ben drammatizzando intorno allo
sbriciolamento dell’orgoglio umano, ormai da ritenersi infondato
dinnanzi a Sua Eccellenza Sole, stufa di girare intorno “ad un
granellino di sabbia” per far luce a “quattro animaluzzi”. Il genere
umano, così, scacciato dal centro dell’universo e spostato con la sua
piccola sfera alla periferia del sistema solare assiste, cosciente,
alla propria “Apocalisse”. A voce d’un inerme Copernico, si
profetizzano e stigmatizzano le miserie d’un re spodestato: l’uomo.
Operetta infelice e, per questo, morale intorno alla possibile
rivoluzione del nuovo mirare dell’uomo nella profondità della propria
miseria. Così dalla minuscola e misera Terra si precipita verso il
baratro delle non conosciute Luminose Meraviglie, nell’infinito buio
dipinto di stelle, nella profondità e nell’abisso di ciò che rimane una
speranza, l’esser parte di un’ Infinita Meraviglia: il Creato. “Niuna
cosa maggiormente dimostra la grandezza e la potenza dell’umano
intelletto che il potere l’uomo comprendere e fortemente sentire la sua
piccolezza” Zibaldone.
Galantuomo e Mondo -operetta immorale e per questo
felice
Con la moderna e sfrenata “civilizzazione”, cioè
con il sopravvento del raziocinio sul sentimento e della tecnica sullo
spirito, il Mondo è divenuto nemico d’ogni virtù. Nel dialogo
leopardiano il “Mondo” spiega all’ingenuo Galantuomo, il quale ha
sempre coltivato la virtù e frequentato la bottega della Natura e della
Poesia, come ci si deve comportare se si vuole servirlo con successo.
In tempi di progresso, lì dove il Mondo “non può far altro che
camminare a ritroso”, l’ Uomo deve appigliarsi a “tutto il contrario di
ciò che gli parrebbe naturale, compiendo ogni rovescio” e divenendo
così “penitente di ogni virtù”. Il Mondo, travestito da Signorina
Civiltà tutta vizi e capricci, divorato ogni fondale di immaginazione
in cui potere sperare di precipitare, definisce gli estremi d’ un
freddo quadro di miseria, dove “tutti gli uomini sono come tante uova”,
dove è proibito ogni segno di vera vita. Qui la rivoluzione procede al
contrario e diventa involuzione, in quanto il ridimensionamento
dell’uomo porta seco una conseguenza negativa, da qui la menzogna
utilitaristica. In uno scherzo d’impazienza e rassegnazione, Leopardi
“conscio che gli uomini non si contenteranno di tenersi per quello che
sono, andando sempre raziocinando a rovescio” presenta la loro Operetta
immorale e, per questo, miseramente “felice”.
“E gli uomini vollero le tenebre piuttosto che la
luce” Giov. 3, 19 ad introduzione della Ginestra.
Rivoluzione e miseria sono parole che riempiamo d’una
natura ambigua e paradossale, nell’unica certezza di volerci aggrappare
al teatro, fatto di piccole e povere cose, ma capace di grandissime
riflessioni sul potere dell’uomo di ribellarsi e dunque ritrovarsi.
Passeggiando con il Maestro della più amara e saggia ironia, ci
disperdiamo giocando con scenari che danno largo all’immaginazione,
sperando di far scivolare il pubblico nella finestra di questo “oltre”
che ancora in vita ci rimane e che può, con i suoi scherzi, renderci
partecipi rivoluzionari del Sentimento del Sublime.
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