martedì 28 aprile 2015

iPoet Aprile 2015

Gentili poeti,
la redazione LietoColle è lieta di annunciarvi il vincitore ed i poeti
selezionati della sezione Aprile 2015; dal primo maggio sarà possibile
inviare nuovi elaborati. Non potranno partecipare i poeti segnalati ed i premiati, vi chiediamo comunque di diffondere la voce.

grazie infinitamente


Redazione LietoColle

IPOET
Vite intere
Ci teniamo soli
fino in fondo alla ciotola
a sterminare un lessico scaduto
e perdere
il conto
nel mezzo calore del letto
paghiamo le notti
in sudore
facciamo l’alba sui vetri
con le dita
e siamo questo mare che nasconde
la stanchezza
dell'andare fermo
dietro capriole di schiuma
Cettina Caliò
Poesie SegnalatePoesie Segnalate Poesie Segnalate Poesie Segnalate Poesie Segnalate
Ti scrivo dal paese morto.
Paese offeso e strangolato.
Paese dannato. Paese osceno
(o scemo?). Paese tradito,
venduto. Paese sordo e muto.
Paese di nebbie. Paese
senza legge,
che sugge al seno
dell’inganno recitando
una farsa che non regge.
Paese senz’anima,
senza Dio.
Paese senza orgoglio
e indignazione.
Paese in cui prostituirsi
è la sola
rivoluzione. Ti scrivo
dal paese morto figlio
scacciato, schiacciato,
per dirti che sì,
resterai solo se
non ti sarai piegato,
perché un uomo libero non
è mai perdonato.
Ma, come è noto, solo
la stupidità è merce
da mercato dell’usato,
dove, tra un Galilei
perseguitato e il nolano
bruciato, è sempre il
ladro Barabba l’articolo
più apprezzato e la dignità
il più esecrato.
Antonio Carano
Caramelle
Verrò in via delle vigne quattordici a passarti
l’ultima delle mie caramelle, è lì che abita
in forma di zucchero l’orto di tua madre
e si gonfiano di rosso i pomodori nel cerchio
delle alpi e l’insalata
ha il suono familiare di una porta che sbatte.
Gli autunni vengono con passo leggero e io
mi arrampicherò sul tuo accento di montagna,
sulle gutturali che sono rocce aspre, su certe
consonanti che imitano il tumultuoso gorgoglio
dei torrenti. Le tue mani forse mi cercavano,
tentavano un approdo, ma tu lo sai
che il nostro sole è la solitudine
e la promessa di non vederci più
è già nei nostri passi.
L’ho visto il gatto, e quella lunga scia di tristezza.
Ho visto la fabbrica e la fretta dei viaggi.
Le mani si cercavano e ridevi di un riso
notturno e c’era la pioggia e il buio
e il momento era perfetto per perdersi,
per scivolare via come un addio.
Carlo Carlotto
"Santi nella miseria"
Carte portate via dal vento
ratti che sfilano tra i rifiuti
farfalle che danzano sui marciapiedi
Sono i Santi che nessuno conosce
Domenico Lombardi
Luna park*
Le giostre tornavano ad Aprile sotto una pioggia rituale..
e sulla sabbia umida della piazza,
tra mille impronte senza direzione,
ecco Tania, la donna cannone,
idropica e gigantesca con l’affanno nel respiro,
muta dietro i lineamenti del viso.
A fatica scendeva dal palcoscenico,
quattro assi traballanti, aggirandosi tra pochi astanti
attenti nell’ascoltar della sua vita che con enfasi
gridava al vento, un cialtrone in marsina e guanti.
Tania stringeva tra le dita le foto del suo corpo
che come santini di una divinità dell'epa,
offriva con un grazie sulle labbra
color vinaccia per un trucco marchiano e greve,
e sembrava celare la pena per quel corpo triste
che subiva come una galera,
ma la prigionia del Luna park e della carne
era il senso stesso della sua vita,
in un vagare zingaro, di fiera in fiera,
erede di una libertà senza regole né terra.
Non sembrava dunque soffrire se non l’indifferenza,
lei utile al suo gregge, un fenomeno su cui far moneta,
davanti ad un pubblico che trasecolava ascoltando
cifre e date, pesi e misure impossibili da verificare,
ma la sofferenza non fa sconti,
come la solitudine e la paura
e Tania infine sorrideva mentre fuori
dal baraccone, con il naso all’aria,
i più erano attratti dal flash del tiro a segno:
“Chi fa centro rimane fotografato…”
gridava una ragazza dal seno pronunciato.
Quella immagine per anni stretta tra le dita,
sarebbe divenuta il simbolo di tutta la vita
vista dal bersaglio.
Oreste Bonvicini
Sono nel tempo vero i bambini che piangono,
steli si allungano sulle gote di fiori che crescono.
Lo dico alle figlie nell'invetrato battere del sangue
nel cupo del cuore che rimpicciolisce.
Della patria delle lacrime conoscono ogni borgo
ogni tempesta che scuota e ululi con nero sguardo.
Il loro pianto si diffonde nella casa come l'ora del crepuscolo
finché invisibile una biglia li colpisca e sbalzi
nell'universo di un gioco privato e misterioso.
Michele Ricciardo
Pioggia
Ticche-ticche fa la pioggia
rimbalzando sul mio ombrello
oggi il cielo è pazzerello
e scandisce goccia a goccia.
Ticche-ticche sui pinastri
sulla spiaggia desolata
sui gabbiani giù in planata
sui pitospori salmastri.
Ticche-ticche sulle palme
su oleandri intirizziti
sugli evonimi straniti
sulle acque bigie e calme.
Ticche-ticche sugli scogli
sui ricordi dell'estate
sulle barche addormentate
lungo lidi tristi e spogli.
Ticche-ticche su ogni cosa
lentamente, senza posa
sino a dove l'occhio vede
sino a dove il passo incede.
Tutto intorno s'è levato
incessante il ticchettìo
come pianto sincopato
all'unisono col mio.
Stefano
Tertium non datur
Non vedi che sassi protostorici
a Micene, edificati da Perseo
e bagnati col sangue di Medusa.
Lo stesso Perseo, o quasi, che nella
Loggia dei Lanzi mostra la testa
decollata di Gorgone.
Micene, in una landa brulla
nell’Argolide, non offre ombra
né riposo oltre la porta dei leoni
in un cerchio magico come nel ventre
d’una roccia metamorfica.
In quell'acrocoro di mito ride
dell’andamento borsistico dell’oro
la maschera di Agamennone.
Giuseppe Panetta
Io sono Lampedusa
Il mare non è più così pescoso
ma la rete va gettata
concentràti sul dovere dei giorni
delle mattine spremute a freddo.
La violenza dell'aurora viola
quando s'alza imperiosa,
il tedio dell'attesa
e della paura
che unge tutto;
a fondo il dito pesca
crema di cioccolato.
Cacao ficcato nelle narici
quando la rete rigetta
scarpe, pesci e teste di morto
riuscite a galla malamente.
Il cioccolato si caccia sotto
lingua e naso
per ignorare la putredine,
svelti a scartare ciò che non serve
ed essere ancora capaci di pietà:
il ripescato chiede sepoltura
contro la legge degli uomini.
Tu gliela darai, nel naso hai
il gusto della vita
e non malta rappresa,
cruda, tra le dita;
schivare l’abitudine
al fetore dei morti.
Per l’abisso che in te giudica,
occhio d'acque divine, rifiuti
di rattrappirti nei dammusi.
Vai per acque tracce di antenati
e come i padroni dei crani
che hai stagnato a freddo
inumato come pesce sott’olio
O’ Scià! vuoi sbarcare la vita.
Ti dico
Anche questa vita così dimessa
questo silenzioso inverno
povero di sole, di colore,
questo calzino spaiato
esiliato al margine
più scuro d’un vecchio cassetto
grande quanto il mondo,
anche questa vita, ti dico,
ha una sua estate segreta
se il lampo d’una parola
la rischiara e riscatta…
Franchina Tresoldima

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